Settimo Capitolo
Jian, per niente sorpreso, al contrario di me, da questa incredibile scena si gira verso di me dicendo: <<Bravo, il professore! Hai capito? Il Tai Chi Chuan sembra una cosa da niente, ma se lo vuoi scoprire veramente, in tutti i suoi aspetti, in tutte le sue implicazioni, se lo vuoi praticare veramente, non basterà una vita. Forse per questo è bello ed importante insegnarlo, farlo conoscere. Perché così l’allievo, se vuole, può continuare la ricerca, il percorso, il Lùjìng intrapreso dall’insegnante. E’ questo il suo bello! E’ così che il Tai Chi Chuan si perpetua: grazie a chi lo insegna e, insieme agli allievi, lo apprende!>>
Il tram si ferma. Jian mi abbraccia e mi saluta. <<Questo viaggio è finito, ma tu continua a cercare altri percorsi, sii curioso. Per tornare a casa vai diritto per di qua.>>. E mi indica un cartello stradale con sopra scritto “Via Della Forma Yang”.
<<E’ la via principale. Percorrila tutta, se riesci. Intanto ti lascio questa breve nota. Leggila attentamente! Mi raccomando! Tong Xue Men Zai Jian!>>. Estrae la sua spada luminosa e si sistema il cappuccio, scoprendo il volto.
Ma dai! Non è possibile! Ma non era cinese? Ha la mia faccia! Come diceva mia madre, è uguale uguale, “ ’na stampa e ‘na figura!”. Ecco perché mi sembrava di averlo già visto!
Non mi sono ancora riavuto dalla sorpresa, che Jian/Michele scompare nell’oscurità mentre mi dice: <<Zàijiàn(再见), arrivederci, devo affrettarmi per tornare al mio paese in Sicilia!>>. Ma cosa dice? Un paese di Cinesi in Sicilia? Dai, non ci credo!.
Mentre rifletto, sento avvicinarsi una voce che declama nel buio:
“Le donne, i cavallier, l’arme, gli amori,
le cortesie, l’audaci imprese io canto,
che furo al tempo che passaro i Mori
d’Africa il mare, e in Francia nocquer tanto,
seguendo l’ire e i giovenil furori
d’Agramante lor re, che si diè vanto
di vendicar la morte di Troiano
sopra re Carlo imperator romano”.
(Ludovico Ariosto, L’Orlando Furioso)
Quando arriva sotto alla luce di un lampione mi accorgo che si tratta niente meno che di un pupo siciliano, tutto vestito di raso blu profilato d’oro, con un gran pennacchio blu che mette in risalto una grande aquila dorata in cima all’elmo. Anche l’armatura è dorata e lo scudo è ornato anch’esso da una grande aquila d’oro. La spada è di un acciaio che scintilla anche sotto la debole luce artificiale. Senza fermarsi mi dice: <<Orlando Furiusu sugnu. E tu c’ha crìdiri! ‘n Sicilia tanti genti trasèru, vinennu d’ogni banna. Pi mari e pi terra. E perciò avimu puru Cinisi! Hai ‘a caminari pi centu e ottu passi, m’arraccumannu centu e ottu – e po’ giri a manu dritta e ‘ncocci a Cinisi. Ma gira! Nun fariti sviari, masannò si giri dopu centu passi, sempri a Cinisi finisci, ma ni li sgrinfii di li Sawariqàh, li Saracini, ca usano la scimitarra e no la spata. E pi suprammisura hannu assai “mo’afiah”. Perciò centu e ottu. Gira a centu e ottu.>>.
(traduzione: “Io sono Orlando Furioso. Tu ci devi credere! In Sicilia sono entrate tante popolazioni, da ogni dove. Per mare e per terra. E perciò qui ci sono anche “Cinisi”. Devi percorrere cento e otto passi – mi raccomando, cento e otto – e poi gira a destra e trovi “Cinisi”. Ma gira! Non farti sviare, altrimenti se giri oltre i cento e otto passi, finisci sempre a “Cinisi” ma nelle mani dei Sawariqàh, i Saraceni, che usano la scimitarra e non la spada. Ed inoltre sono baldanzosi e crudeli. Perciò cento e otto. Gira a cento e otto.”)
E, sferragliando più del tram, il paladino svanisce nel buio, declamando:
”E tratto dalla collera avventosse
Col pugno chiuso al Re di Sericana;
E la man destra in modo gli percosse,
Ch’abbandonar gli fece Durlindana.
Gradasso, non credendo, ch’egli fosse
Di così folle audacia, e così insana
Coltolo all’improvviso fu, che stava a bada,
E tolta si trovò la buona spada.”
(G. D. Pierotti, Giardino
del Parnaso, vol. II, La discordia nel campo del Re Agramante)
In verità sono un po’ (tanto) stordito! L’immagine, o meglio, il concetto di spada mi insegue: quella di Jian/Michele uguale a quella di Jedi; Durlindana, la spada magica di Orlando, sorella di Excalibur e la scimitarra dei Mori. Mi giro e vedo un grande poster di Cheng Man Ch’ing che mi punta con la sua spada.
Ora che ci penso: ma il grande Maestro punta me o mi vuole indicare una strada, un percorso, un Lùjìng?
In effetti la sua spada è puntata diritta ad indicare la direzione di Via della Forma Yang.
Evidentemente deve essere questa la strada da percorrere, per tornare a casa!
Il tram 108 si sta allontanando verso il deposito e mi accorgo di essere rimasto solo.
Mi accorgo anche di stringere tra le mani una pergamena fitta fitta di ideogrammi cinesi.
Sto cominciando a leggere (vi ricordate? Nel sogno io capisco il Cinese, anche scritto!) ma Iris, la mia cagnolina, salta sul letto e mi sveglia.
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Dopo colazione apro il computer.
Mentre controllo la posta mi ricordo del sogno.
Allora digito “Forma 108 Yang” e leggo:
Forma 108 Yang
“La Forma Yang Antica è una sequenza ininterrotta di 108 figure ed è divisa in tre parti che hanno un significato simbolico. Anche il numero 108 in realtà è simbolico e si riferisce all’individuo, là dove il 27 è il cielo e il 54 la terra. Nel rosario buddhista, per esempio, i grani sono 108.
- La prima parte della forma è: Terra, Madre, Femminile, Ricettivo, Eros, Vuoto, Flessibilità, Accoglienza, Umidità, cioè tutto ciò che è riconducibile al principio dell’energia femminile: Yin.
- La seconda parte è: il combattimento, l’essere umano che si confronta con emozioni, pensieri, stati mentali, pulsioni istintuali.
-
La terza parte è: Cielo, Padre, Maschile, Logos, Penetrante, Pieno,
Determinazione, Potenza, cioè tutto ciò che è riconducibile al principio
dell’energia maschile: Yang. Ed è anche la parte più lunga che contiene le
altre due. E’ allo stesso tempo punto da acquisire e sintesi compiuta.
Infatti l’essere umano compiendo il percorso dei 108 movimenti, si confronta, lotta, per unire ogni volta in un equilibrio dinamico gli opposti: Terra-Cielo, Madre-Padre, Femminile-Maschile, Ricettivo-Penetrante, Vuoto-Pieno, Yin-Yang. Equilibrio dinamico significa che non esiste un punto che si raggiunge una volta per sempre, ma che tutto è un continuo divenire.
La forma 108, se ben praticata, parte da un punto e, al suo compimento, torna allo stesso punto da cui si è partiti ma, per parafrasare Eraclito: non è mai lo stesso punto, né lo stesso praticante.
Il Tai Chi Chuan si pratica con estrema lentezza, ascoltando sé stessi, e la forma 108 nella pratica avanzata dura quasi un’ora.
Ascoltare sé stessi significa arrivare a percepire, “coscientizzare” e “consapevolizzare” che l’emozione che sento e il modo in cui mi muovo sono la stessa cosa. “Non c’è un corpo che fa o una mente che dice, c’è una persona che si esprime” (Lowen).
Di conseguenza la tensione che sento è espressione della mia personalità, non soltanto una parte del corpo che soffre. Se il mio corpo soffre, anche la mia psiche soffre nello stesso modo e nello stesso momento.
I movimenti del Tai Chi Chuan possono aiutare a portare alla coscienza le tensioni poiché il movimento della Forma 108 è movimento al tempo stesso del corpo e della psiche. Il mio essere presente a ciò che sto facendo, ossia a ciò che sono qui e ora nella mia interezza, per il fatto stesso che lo faccio permette alla tensione di sciogliersi. Ma che cosa permette di non farla più emergere?
Il fatto che della stessa tensione io ne faccia conoscenza. Che compia cioè un atto di conoscenza di me che significa esattamente il far emergere il “contenuto” della sensazione fisica, cioè l’emozione e lo stato mentale che sono insite in essa.
La pratica della consapevolezza
Il lavoro proposto è dunque quello della pratica del Ling Tai Chi Chuan(*) e della “pratica” della consapevolezza. Termine abusato che qui sta a significare l’intenzione e la volontà di “confrontarsi” con i vissuti (emozioni e stati mentali) che sono contenuti nella sensazione. Operativamente ciò avviene con momenti di pratica della Forma Yang, momenti di rilassamento e ascolto del corpo, e relazione dialogica (verbalizzazione/messa in gioco) ossia confronto con l’emozione emersa.
Tutto ciò per accogliere i propri vissuti, rendersene responsabili, eliminare ogni genere di tensioni in modo da sviluppare un’armonia e un’attenzione che servano anche e soprattutto nell’esistere di ogni giorno, in poche parole: per poter vivere meglio.”
Agrippino Musso
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Finisco di leggere e ho l’impressione che la ricerca, invece, non finirà mai
Fine del “Breve Viaggio”
(o forse no!).